Questo libro riflette sul modo più ‘conveniente’ di guardare ai pensieri speculativi di Nietzsche, e di pronunciarli. Si sofferma, in particolare, sulla natura della sua filosofia: per la quale l’impeto della forma, le ragioni dello stile, non si risolsero mai in esercitazioni per eruditi. Con Nietzsche è come se, dopo secoli in cui l’oggetto del filosofare era lo stato di cose privato dei suoi prodigi, il mondo venisse improvvisamente interrogato proprio intorno a ciò che di prodigioso può schiudersi in esso. Nozioni quali il “grande stile”, l’uebermensh, il “troppo umano”, l'”al di là del bene e del male”, rendono infatti normale e normativo quel che eccede le regole dettate dalla consuetudine. Così, il testo nietzscheano veste paramenti da celebrazione liturgica, pieni di ‘grazia’ (la chèris ellenica), e anticipa, nel suo sopravvenire altero, l’avvento di un filosofare (il) grandioso. Articolato in tre scansioni (una lettura dello Zarathustra, illuminata da certi rimandi al cuore letterario della Grecia; un ragionamento sulla naturalezza dell’argomento politico entro la riflessione arcaica; un’interpretazione ‘etica’ de La volontà di potenza), questo studio si domanda, cercando di pervenire infine ai mezzi e ai motivi per cui la lettura del testo nietzscheano induce squotimento ed ebbrezza, e trasfigurazione: che cosa è, appunto, “grande stile”? Che cosa vuole dire – e ci dice – l’impressione della bellezza? E’ la ‘grazia’ una implicazione del ragionamento filosofico, dello stesso parlare dialettico? Esiste, nel cosmo fluente della scrittura nietzscheana, la possibilità dell’assoluto? Un dovere di assoluto? Un dovere capace di ‘innocenza’?
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